Mare bambino

DI GIACOMO TOSCANO

Il mio mare non c’è più. Ciò che resta di lui lo trovate incagliato nella mia cassa toracica.

Perché mare è la vita che vi si immerge dentro e si infrange su ciò che mare non è. Ogni mare è unico e infinito, introvabile dagli altri navigatori. È un incresparsi di qui e ora, un moto corposo, una burrasca che sciaborda la paura di amare.

Costa Rei, Sardegna. Piazzetta veranda giardino canneto spiaggia mare cielo, in ordine sparso. Un agosto intero ogni anno, finché di anni ne ho compiuti 11. Certo che ci sono tornato! Tempi dopo, con un’emozione ingovernabile. Ma già non era più il mio mare.

Lui ha il bagliore di un’alba traboccante. Grondava geometrica dalle persiane e svegliava solo me. Impaziente del giorno, uscivo in veranda a giocare con il silenzio, la luce e le macchinine. 

Lui ha la mia timidezza. Non ero capace di nuotare, figuriamoci farmi un amico. Carlotta, mia sorella e mia ancora, mi faceva stare con lei e le sue amiche sirene. Pensavo di salvarmi, ma era un inganno. Quando si rituffava nei suoi libri – troppe parole sottraggono alla vita – io annegavo nella mia solitudine, aspettando un altro inganno.

Lui ha i capelli biondi di Laura, le lentiggini dorate di Caterina, le carezze bambine di Giorgia. Non ditemi che da piccoli non ci si innamora. Almeno 3 volte in un’estate. Nella piazzetta-labirinto, la star non-so-chi cantava, i grandi scazzavano, noi piccoli esploravamo ogni vicolo, muretto, atollo, rincorrendo battiti di cuori e ali.

Lui ha le tette grandissime di Simona. Un miraggio amico di mamma e papà. Io ancora non potevo apprezzare, ma in qualche modo capivo che lì c’era del buono: solo lei riusciva a portarmi al largo, dove non si toccava. Io mi stringevo stretto stretto a lei.

Lui cucina gli spaghetti con le vongole di mio padre. Prima il rito dei cracker con i granelli di sale e di sabbia, poi l’ultimo bagno, il più bello: papà ci pescava dal mare con braccia forti e dolci buttandoci sull’asciugamano caldo, avviandosi verso casa. Noi, qualche fantasia dopo, attraversavamo il canneto infuocato urlando contro i serpenti. Poi il nostro mare con la tavola apparecchiata. Da lì si vedevano le navi passare. Da dove? Verso dove? Non importava. Il bello era vederle passare, senza mai tornare.