Il pane

DI EZIO PONARI

Sbadiglio, è quasi mezzogiorno.
Francesco mi lascia sul bancone un cornetto spolverato di un velo di zucchero e una tazzina di caffè. Gli occhiali da sole mi scivolano sul naso mentre scavo nel costume in cerca di monetine. “Due euro”. La sua voce è più ovattata del solito.
Il cinguettio della cassa si unisce al sordo rintocco di una pallina da ping-pong. Dev’essere Christian che gioca da solo, contro il muro. Sorrido, con lo sguardo perso tra gli ombrelloni aperti. Fino a un anno fa, su questa piccola spiaggia della Calabria erano sessanta, oggi sono poco più di venti. Tra le sdraio vuote corrono almeno tre metri di sabbia.

Mamma vuole sapere se torni per pranzo”. Il messaggio di Marta è quasi un auspicio. Durante i diciotto mesi di distacco, molte famiglie si sono sgretolate per sempre. Altre, invece, si sono unite di più.
Ok, vado a comprare il pane?”.

Atterro davanti al fornaio con una di quelle acrobazie stupide che facevo da
bambino. Dall’inizio dell’estate, è già la seconda settimana che vengo qui. Non devo più mostrare la patente di immunità e Vito, cinquant’anni tra polvere e farina, sa che deve darmi la solita ciambella di grano duro e una mezza busta di taralli. Fuori, circa dieci persone con guanti e mascherine restano in attesa che il locale chiuda.

Pedalo lungo il viale che separa la spiaggia dal residence. Nei bar che si
affacciano sulla strada la vita sembra scorrere normalmente. I proprietari del “Tequila Café” hanno alzato un enorme cubo in vetro temperato per accogliere chi non ha ancora fatto il test. Ci sono tavoli scintillanti di alluminio, distributori di bicchieri e posate e aria condizionata. Le prime camere di isolamento pubbliche, in autunno, erano state un monumento allo sconforto. Poi si sono messi i grandi designer e gli architetti bravi e sono diventate sempre più belle, soprattutto quelle costruite nelle piazze delle grandi città.

Dietro la vetrofania riconosco un’anziana coppia, vecchi amici di famiglia. Sono seduti al tavolino vicino all’uscita. La signora mi saluta con un impercettibile movimento della testa, come se le sue antenne avessero percepito la mia presenza. Rallento e alzo la mano, sorridendo. L’uomo si sfiora la fronte, si sistema in punta di sedia e fa un gesto indicando il mio sacchetto del pane. Annuisco vistosamente. Le spalle del vecchio hanno un sussulto. Sta ridendo. Anche se ci guardiamo tutti e tre, ho la sensazione di essere da solo. Dopo un po’ tornano entrambi a fissare l’orizzonte, senza dire una parola. L’unico suono a fare da sfondo al silenzio è quello leggero e cadenzato delle onde.

Il mare è sempre lì, davanti a noi, dove l’avevamo lasciato due anni fa.