Gigli di mare

DI LOREDANA SANDULLO

Il mio mare lo osservo dalla cima di una collina. Orizzonte perfetto davanti a me, una linea dritta che divide l’azzurro del cielo dal blu dell’acqua. Un vento fresco accarezza il mio corpo vestito solo di in costume colorato.
Il mare è calmo oggi, piccole onde lente e lunghe si infrangono sul bagnasciuga della spiaggia più bella tra le spiagge, la spiaggia rossa.

Inizio a scendere i gradini di cemento, fatti da chissà chi, fatti clandestinamente in mezzo alla vegetazione. Sono consumati dalle intemperie, bucati qua e là. Mentre scendo so che spunterà qualche lucertola da uno di quei fori. Ad un certo punto si interrompono, il mare ne ha portati via metà. Mi fermo e lo guardo, mille sfumature di blu e verde. La vedo – la secca – come la chiamiamo con i miei cugini. Un fazzoletto azzurro chiaro dove l’acqua per uno strano fenomeno naturale è più bassa di quella che lo circonda. È fin lì che voglio andare oggi, ho la maschera.

Mi affretto lungo il sentiero naturale che ora mi divide dalla spiaggia, mi addentro tra gli arbusti. Muovendomi veloce smuovo le piante e più forte diventa il profumo secco di rosmarino, salsedine e terra bruciata dal sole. Un profumo familiare che resterà sempre nella mia memoria, il profumo della Calabria.

Finalmente affondo i piedi nella sabbia, morbida, fine e delicata, ma troppo bollente sulla pelle. Corro verso l’acqua, abbandono l’asciugamano e mi tuffo goffamente. Mi rinfresco e prendo fiato, intanto sistemo la maschera sul viso e inizio a nuotare.

Conosco a memoria il percorso, seguo gli scogli bassi, nuoto piano per non graffiarmi, pancia a filo delle rocce. Finché l’acqua diventa più profonda, gli scogli più grandi, seguo i pieni e i vuoti. È quando devo passare tra due massi scuri di alghe che provo un brivido di eccitazione, mi sposto in un ambiente in cui sono ospite. Poi davanti a me eccolo lo scoglio più grande, quello che protegge la secca. Non posso nuotarci intorno, non ne conosco il perimetro, devo per forza salirci sopra. Mi avvicino, stando attenta a dove metto i piedi li affondo nelle alghe viscide, lontano dai ricci ed eccomi in piedi in mezzo al blu, cammino verso il bordo opposto e mi tuffo.

La mia pancia sfiora la sabbia, che raccolgo in una mano e lascio scivolare tra le dita mentre risalgo. Tolgo la maschera e mi godo il silenzio, sono sola io e il mare. L’acqua è bassa e cristallina, mi guardo i piedi, sotto di me solo sabbia solcata da un disegno ad onde perfette. Mi immergo di nuovo, sento la pressione sulle orecchie e il rumore ovattato delle bolle che il mio corpo muove intorno a me. Tengo gli occhi aperti, il blu che mi circonda è magnifico, lo vedo offuscato, ma lo so. Riemergo e faccio un po’ il morto a galla, sto lì nella linea dritta che divide l’azzurro del cielo e il blu dell’acqua.

Quando inizio ad avere freddo, ritorno. In piedi sullo scoglio, alghe, ricci, brivido, insenatura tra le rocce, pieni vuoti, pancia che sfiora gli scogli bassi, riva.

Esco dall’acqua e li vedo, lì in fondo sulla parete di sabbia alle pendici della collina, punti bianchi che oscillano al vento: i gigli di mare.

Lancio la maschera sull’asciugamano e vado dove sono loro, mi butto nella sabbia, calda dà sollievo alla mia pelle d’oca. La prendo tra le mani e la osservo da vicino, granelli tondi, brillanti come pietre preziose, di mille sfumature dell’oro e del corallo. Quando tornerò a casa li avrò ovunque.

Accarezzo il fiore più vicino a me, simile ad una stella alpina, petali lunghi, candidi e pistilli giallo chiaro. Nato da un bulbo nella terra riarsa dal sole. Fiore delicato, ma fortissimo che cresce lì davanti all’orizzonte perfetto.