Catalogo semi-ragionato delle cose che riguardano il mio mare

DI MYRIAM SABOLLA

Il mio mare non è quello delle vacanze. Quando ci nasci, il mare diventa l’orizzonte con cui misurare le cose. Prospettiva, orientamento.

Ponente e Levante, Circonvallazione a mare e Circonvallazione a monte, Foce e Darsena, “la nostra meravigliosa toponomastica” che fa muovere la città su un piano bidimensionale. A scandire gli spazi sempre e solo quella massa d’acqua mutevole, punto di riferimento certo, e allo stesso tempo incerto.

Del mio mare racconto spesso l’infanzia passata a sporcarsi i pantaloni sulle spiagge polverose, d’inverno. I bagni, d’estate, nell’acqua torbida che ancora non aveva conosciuto la gioia dei depuratori. Le passeggiate pre-adolescenti, i baci dati di nascosto, gli scogli per pensare: mi piace, gli piaccio, forse no, mangiamo un pezzo di focaccia.

I bagni per i figli dei ricchi del liceo, le spiagge libere per tutti. La pizza mangiata nel cartone, la Moretti da 66. Le chiacchiere di notte, con il salmastro che vela gli specchietti della Vespa, i capelli che non stanno mai come devono stare.

I concerti in fondo al molo, con le navi da crociera da salutare. Le serate da dimenticare, e quelle che, purtroppo, ho dimenticato.

Poi il mare è diventato di nuovo orizzonte: da cercare inutilmente, con un riflesso automatico, nelle città di pianura. Quelle che ci vuole la cartina per girarle, perché vanno in tutte le direzioni, e le strade e le piazze si assomigliano troppo, per poter avere dei punti di riferimento. A Bologna non si perde neanche un bambino ma io mi svegliavo e credevo di essere al mare, non l’ho mai trovato.

Le città con la luce sempre uguale: grigia in inverno, bianca in estate. Quelle che ho amato e quelle in cui non ritornerei mai più. Quelle da cui mi piace partire, e poi tornare, dopo una parentesi al mare.

Io lo aspetto tutto il viaggio. In treno, di solito. Arriva dopo lunghissime gallerie, telefoni che non prendono più, sguardi persi nel vuoto e disconnessi momentaneamente dal rumore dei social network. Attraverso le campagne infami del nostro entroterra così inospitale, con la neve alta in inverno e l’aria ferma in estate. Dopo aver trapassato i fianchi delle colline sfregiati dalle case popolari, i piloni rotti del Ponte che ci ha spezzato a metà.

Arriva, alla fine, squarcio di luce in mezzo alle gru, Genova Principe, Genova Brignole. Casa. Odore di mare. Sei tu. Resto un po’, promesso.